La Storia di Laura

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La Storia di Laura

Ho vissuto praticamente tutta la mia vita con questa malattia, la retto-colite ulcerosa, anche se solo io e i pochi che mi sono stati vicini l'hanno davvero vista e capita. Per la maggior parte del tempo, in posti diversi, la storia è sempre stata la stessa: da fuori ero una ragazza normalissima, le mie lamentele non potevano trovare giustificazione. Magari ero solo stressata, troppo ansiosa, mi hanno ripetuto più e più volte negli anni. Ma il fatto che la mia disabilità, la nostra disabilità – perché vivere con una malattia cronica intestinale questo è – non si veda, non significa che non ci sia. E la mia c'è sin da quando ero un'adolescente: ho iniziato a soffrire di problemi di aria e diarrea da quando avevo 13 anni, ma a lungo tutti i miei fastidi sono stati liquidati in un solo modo: “colite spastica, sei troppo ansiosa”. Avevo visto anche un gastroenterologo, ma non era servito a molto. Poi però col tempo sono arrivati altri sintomi, uno su tutti: il sangue, prima poco, e poi sempre di più. Tutta colpa delle emorroidi, mi venne detto. Poi però, così come prima non avevano funzionato i farmaci, stavolta non funzionarono creme e cremine. Sono dovuta arrivare a 25 anni, a patire febbre, dolori, e ad andare in bagno fino a 40 volte in un giorno per arrivare a una svolta. C'è stato anche chi quella volta non ha visto e ha cercato di liquidare la cosa parlando di una fortissima influenza intestinale, poi però, finalmente, dopo il ricovero in ospedale qualcosa è cambiato.

Mi hanno dato una marea di farmaci, alimentazione parenterale e, alle dimissioni, la notizia che per quello che avevo la mia vita non sarebbe più stata come prima. Anche se ero stata malissimo, sul momento mi sembrò esagerato: ok, ero malata, ma avrei potuto curarmi ora che sapevo cosa avevo, no? Ci avrei messo un po' a capire cosa intendesse quel medico. Per la malattia, per tutti i farmaci che ho preso, ho dovuto rinunciare al mio sogno di mettere su una scuola di danza dove insegnare, le mie gambe non ce la facevano più. Ma anche quando sono riuscita a reinventarmi, a trovare lavoro come commessa, non è andata meglio: c'è sempre stato qualcuno che non vedeva, che non capiva quando stavo male.

E ogni tanto anche scoraggiata: ricordo quella volta che mi successe di non riuscire a trattenerla in macchina, in uno dei primi appuntamenti con quello che oggi è diventato mio marito. Avevo paura che fuggisse, e invece è restato: rimase al ricovero che seguì ed è rimasto tutt'ora accanto a me e a nostra figlia che ormai ha tre anni. A volte sento qualcuno dire: “Io non sono la mia malattia”.

Io invece mi sento di dire che sì, sono anche la mia malattia, lei è la mia coinquilina antipatica, quella che meno vedi e meglio stai, ma c'è e allora, più che ignorarla, è meglio farsela amica, trattarla bene nella speranza che quando torna non si comporti poi troppo male. Così col tempo ho imparato a conviverci, a rispettarla senza mai dargliela vinta, e questo mi aiuta meglio a capire quali sono i miei limiti, ad avere la consapevolezza che tutto quello che per qualcuno è routine per me è un grande successo. Noi lo sappiamo, ma sarebbe bello che lo sapessero anche gli altri, quelli che ancora non riescono a vedere la nostra vita con i nostri occhi.

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